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Entrata in analisi, una per una
Nello studio di un’analista si entra perché si soffre, qualcosa fa problema, non ci si raccapezza più in quello che succede.
Nel primo tempo la persona imputa la sua sofferenza all’Altro, il discorso del suo Altro prende forma attraverso le parole e non solo, si passa dalle trafile di quei significanti che ne hanno costituito le fondamenta e hanno marchiato il soggetto, affinché inizi a coglier-si in “un’altra scena“, che, per motivi molto precisi, si ripete in modo inconscio nella vita attuale causando sofferenza.
In questi colloqui, detti anche preliminari, l’analista accompagna già la persona verso il sapere ciò che è a suo carico, cioè il modo singolare in cui è implicato attivamente nella sua sofferenza, il modo che ha di annodarsi al discorso dell’Altro.
Se il soggetto acconsente a lavorare tale implicazione,
arriva il tempo di un’altra entrata:
l’entrata in analisi; non è un passaggio garantito, l’analista ha la funzione di crearne le condizioni nei colloqui preliminari, ma è ciascun soggetto ad acconsentirvi o meno.
L’entrata in analisi fa scansione, poiché il soggetto coglie che in ciò che lamenta di soffrire c’è una sua responsabilità e che ne trae perfino un godimento, ovvero un misto di piacere e dispiacere.
L’interrogazione si volge allora a se stesso, alla posizione che tiene nella vita, nei suoi rapporti, con la propria persona; la prospettiva cambia e sorgono altri interrogativi “Che vuol dire? Che voglio?”.
Il lavoro dell’analisi avrà come focus la questione soggettiva (esplicata nel sintomo, nell’ambito relazionale, sessuale, lavorativo, esistenziale) non più sotto l’urgenza della sofferenza quotidiana, che già nei colloqui preliminari beneficia di effetti terapeutici sul sintomo e sulla vita, ma per venire a sapere di quell’ intimo e irriducibilmente unico che orienta la vita personale, che fa ostacolo e al contempo struttura il più singolare del soggetto. Per imparare a farsene qualcosa di differente.