John si presenta così: sono nato nel 1951, non conosco mia madre, mia madre non mi ha voluto, sono paralizzato per un incidente… e sono alcolista. Inizia a bere a 13 anni, affonda il suo dolore esistenziale nell’alcool, fino a quando un incidente non lo porta alle soglie della morte, più precisamente :”una via di mezzo tra il campione di decathlon e il rigor mortis”. Un corpo quasi del tutto immobilizzato, la perdita dell’autonomia delle funzioni più basilari non lo conducono a una redenzione, come si immagina un certo pensiero causalista-provvidenziale. La sua dipendenza dall’alcool si intreccia piuttosto con una necessaria dall’altro.
Si rivolge però a un Altro dell’ascolto e della parola la cui risposta non sarà mai dell’ordine dell’assistenzialismo, né del pietismo. Attraverso l’incontro con questo Altro, con rabbia e d
olore, John attraversa e traccia, passo dopo passo, un percorso di responsabilità soggettiva: problematizza e mette in questione la sua risposta sintomatica alla sua storia personale, uscendo così con estrema fatica dall’orda del vittimismo più devastante, della colpevolizzazione dell’altro e della riduzione di sé a scarto dell’Altro. John troverà una soluzione differente per avere a che fare con la sua soggettività, la sua sofferenza, con la sua storia e il mondo: le vignette satiriche. Diverrà un fumettista satirico di cui diranno: “Se qualcuno ride dicendo: ‘Non è divertente’, sai che sta leggendo John Callahan”, ha scritto P.J. O’Rourke.
Verrà chiamato “Il poeta del cattivo gusto”.
La satira è per lui non la distrazione dalla sua esistenza o un’ulteriore copertura della sua posizione soggettiva, ma piuttosto la sua singolare invenzione, un modo differente da lui trovato, che porta la sua cifra singolare, per avere a che fare con il suo nocciolo soggettivo e che gli permette di stare nel legame con l’altro.
Ciò che nella psicoanalisi lacaniana possiamo nominare nei termini di un nuovo annodamento: il passaggio dal sintomo al sinthomo.
‘Così si va dal sintomo che è un disfunzionamento al sinthomo che è, per riprendere l’espressione di Jacques-Alain Miller, “un funzionamento”, una cosa che funziona, anzi, per il soggetto, la cosa che gli funziona meglio. Così l’analizzante scoprirà che il sintomo di cui si lamentava è ciò che gli permette di stare al mondo. E di starci, perché no, bene.'[1] [2]
Il film “Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot” è la narrazione cinematografica, dalla regia di Gus Van Sant, della storia di John Callahan, fumettista satirico statunitense.[3]
[1]A. Di Ciaccia, Dal sintomo al sinthomo, http://www.psychiatryonline.it/node/7543
[2]J. Lacan, Il Seminario libro XXIII, Il Sinthomo
[3]https://www.internazionale.it/…/john-callahan-vignette…