All’indomani dell’ultimo incontro di Cartello sul Seminario VII “L’etica della psicoanalisi”[1],mi trovo ad avere a che fare con un reale che si insinua veloce e silenzioso, così alcune questioni lavorate nel corso dei due anni precipitano, in un diverso sollevarsi.
Il COVID19 si situa proprio lì, in quell’alterità invisibile, cifra del reale.
Impossibile a dirsi, a rappresentarsi, irrompe e sfugge, sfugge all’imbrigliamento delle coordinate di orientamento conosciute, quelle della cornice che si tiene alla sua ripetizione.
Si risponde con angoscia, paura, impotenza, tristezza, negazione.
Si diradano le parole per dire altro, il significante COVID19 ritorna ricorsivo, significante Uno che tartassa e si ripete identico a se stesso, e nel suo effetto di portata mortifera.
Porta con sé delle pratiche collettive, tentativi di trattamento del reale: disposizioni attuative governative recanti misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica, decalogo dei comportamenti del Ministero della sanità per la prevenzione del contagio e sua diffusione, guida psicologica di dieci comportamenti per sopravvivere alla quarantena.
Quali effetti di tali trattamenti collettivi del reale?
Un investimento salvifico di massa elegge i decaloghi alla stessa stregua dei dieci comandamenti biblici, non mancando di scatenare la violenza contro chi appare non attenersi al rispetto fedele degli stessi.
L’interpretazione dell’altro si sgancia dal livello individuale dell’intenzione, della motivazione, e si appiattisce piuttosto al fenomeno che compare nel visto e nel detto.
Chi è quell’altro non è più importante.
L’altro diviene lo straniero, che porta il nuovo nome di Untore: introduzione di discontinuità nell’amalgama del simile – vittima dell’epidemia.
Il reale covid19 è trasportato dall’altro a ciascuno per ciò che lo riguarda. Straniero è l’altro nome del reale, punto incomprensibile e inconcepibile, luogo del non rappresentabile del soggetto, luogo che è dell’insopportabile. Punto ordinario della soggettività nell’evento straordinario.
Il contagio del virus-“andrà tutto bene” e le risposte farmaceutiche del sapere-per-tutti della psicologia tappano la rete dell’ignoto, che va a strapparsi con maggior ferocia in un altro luogo, facendo fuoriuscire la portata sregolata del reale che angoscia.
Il discorso e la pratica della psicoanalisi mi indicano:
“Aspetto, ma non spero niente.” J. Lacan [2]
Attendere, tenendo il filo del tempo con ciò che non è avvenuto ancora.
Tenendo la logica clinica del “caso per caso”, faccio l’offerta dell’“esserci”, declinato
in modo differente per ciascuno dei pazienti che ricevo; bussola e messaggio, che
circoli in modo da consentire movimenti di andata e ritorno.
E ciascuno di loro sceglie, il soggetto sceglie.
Clinica dell’adulto: chi viene in studio, chi sospende le sedute, chi trasloca il discorso
al telefono.
Clinica dell’infanzia: utilizzo il supporto dell’immagine in video [3], non senza un’invenzione che introduca un decompletamento, il non-tutto.
Ogni soggetto risponde a proprio modo alla questione del corpo, della malattia, della
morte, delle limitazioni alla libertà di movimento. Risposta che testimonia degli effetti dell’Altro sul corpo, nella traccia singolare per ognuno.
“Rispetto al reale, tutti i soggetti, nevrotici o psicotici, sono deliranti. Il termine
delirio è utilizzato per indicare che di fronte al reale o al non-rapporto sessuale ci
sono solo dei casi particolari nei quali un fantasma dà accesso alla realtà e serve da
matrice a un sintomo.” [4]
Si tratta di muoversi in tempi e spazi diversi, cercare di ‘saperci fare’ con un ritmo
straniero, nella sottile e delicata invenzione al lavoro che si rinnova nel transfert.
Per recarmi al lavoro in studio, attraverso a piedi una parte della città di Firenze: il
COVID19 presenzia ed è desertificazione.
Solamente riecheggia il suono di pochi passi per le vie.
Nella desertificazione muta del reale, l’eco di un movimento di passi indica una
presenza, più d’una!
“[…] le pulsioni sono l’eco nel corpo del fatto che ci sia un dire. A questo dire, perché
risuoni, perché consuoni…occorre che il corpo sia sensibile. E che lo sia è un fatto”.[5]
La psicoanalisi si interessa a ‘quel dire’ che eppùr si muove anche ai tempi della
pandemia di COVID19.
E ne fa scritture di testimonianza.
Bibliografia:
1. Cfr. J. Lacan, Il Seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi (1959-1960), Einaudi, Torino, 1994.
2. J. Lacan, “Dall’inconscio al reale”, Il Seminario. Libro XXIII. Il Sinthomo, Astrolabio, Roma 2006, p.135.
3. D. De Voedre, “Usi dell’immaginario”, in B. De Halleux (a cura di), Qualcosa da dire al bambino autistico, Borla, Roma, 2011, p. 132.
4. P. G. Guéguen, “L’omeostasi sintomatica nelle psicosi”, in La Psicoanalisi, n. 50, Astrolabio, Roma, 2011, pp. 234-235. 5 J. Lacan, Il Seminario. Libro XXIII. Il Sinthomo, Astrolabio, Roma 2006, p. 16.