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Il lutto nell’infanzia
banski

“Non torna?” (M.)
​”Sempre bianco.. sempre così.. basta, voglio un po’ di colore!
…adesso sì che (mi) piace.” (P.)

Per un bambino che ha perduto il genitore per lungo tempo la vita è come una stanza di cristalli, dove c’è solo bianco o nero, un troppo pieno o un troppo vuoto, e quel minimo di differente che talvolta si mette in circolo è sempre in bilico tra l’essere legittimato e l’essere rifiutato. Di fronte all’irreparabile della morte e al non senso della grave perdita del genitore amato, la vita resta in parte sospesa, tra rabbia e dolore.

“Mai come quando amiamo prestiamo il fianco alla sofferenza, mai come quando abbiamo perduto l’oggetto amato o il suo amore siamo così disperatamente infelici” (S. Freud, 1929, p.574).

Per i bambini l’ineluttabilità della morte che si incarna nella perdita dell’oggetto amato rappresenta l’incontro con il limite più irriducibile, spesso prima ancora che si sia formulato nel loro immaginario qualcosa su questo versante, cioè qualcosa che riguardi la questione della vita e della morte, dell’esistenza del non ritorno.

Di primo acchito l’immaginario si blocca, la disposizione attiva e creativa che ogni bambino produce nel gioco, nel disegno, nelle più varie forme, subisce un arresto fissandosi al punto della perdita, talvolta sulla desertificazione successiva alla perdita, talvolta sull’oggetto amato stesso.

Come scriveva S. Freud in ‘Lutto e Melanconia’ può arrivare “a esserci un’adesione all’oggetto, l’esistenza dell’oggetto perduto viene così psichicamente prolungata”.

Il bambino può comportarsi come nulla fosse accaduto, ma incarna al contempo uno svuotamento del pensiero, dell’affettività e dell’attivazione corporea che rimandano ad uno stato di adesività a ciò che del mortifero ha incontrato, nel quale è stato risucchiato il suo oggetto amato, e da cui separarsi è estremamente doloroso. L’espressione affettiva reattiva alla perdita arriva in un secondo momento, e solo se il bambino è stato sostenuto da un adulto nel passaggio verso il riconoscimento del reale effettivo accaduto. La reazione affettiva può manifestarsi nei modi più vari, la tristezza, l’apatia e l’inibizione non sono gli unici affetti che si riscontrano, la rabbia e l’aggressività sono molto frequenti e portano gli altri a cogliere con più fatica il dolore vissuto dal bambino e a trovare più difficilmente canali attraverso i quali raggiungerlo e stargli vicino nell’elaborazione del lutto.

D’altro canto l’altro genitore avrà bisogno di un suo spazio di lavoro del lutto, necessario perché possa trovare i modi per sostenersi, elaborare la perdita e fronteggiare destabilizzazioni e nuovi assestamenti nella relazione con il figlio.
Si tratta di offrire uno spazio di riconoscimento condiviso e parlato, perché il bambino possa ritrovare quei riferimenti simbolici che sono stati sfilacciati dall’esperienza fuori senso.

Una comunicazione in cui l’adulto sappia farsi carico dell’onestà del dire, un’onestà delicata, che fa i conti con l’inutilità dello straparlare e l’impossibilità di ricucire ciò che è strappato, che offre il riconoscimento per ciò che è stato e ciò che può essere, uno spazio che offre al bambino ciò che gli serve per bordare il vuoto con cui si trova a fare i conti.

Bordare con l’altro ovvero trovare modi per delimitare un nuovo confine attraverso il linguaggio, nelle sue espressioni più varie e soggettive. La non-parola sul reale vissuto porta il rischio che l’evento sia colmato con attribuzioni che possono presentarsi nelle versioni del senso di colpa, fissazioni da destino, spiegazioni paranoidee nei confronti dell’altro e della realtà, oppure può incontrare la deriva di un’enigmaticità insopportabile che arriva al piccolo soggetto da ogni elemento della realtà che lo circonda. Nel lutto infantile l’assenza risucchia la nominazione, è una stanza vuota in cui il terapeuta si sofferma in punta di piedi, per iniziare a tracciare insieme al piccolo soggetto qualche segno, fuggevole, sulle pareti.

È il “parlare vero” di cui scriveva la psicoanalista francese, Francoise Dolto, il terreno dal quale non bisogna retrocedere perché vi sia una costruzione soggettiva che sostiene:

“Spero di chiarire il ruolo del “parlare vero”, del vero come gli adulti lo comunicano ai bambini, che non solo lo desiderano inconsciamente, ma hanno bisogno della verità e ne hanno diritto, anche se il loro desiderio cosciente espresso in parole, su invito degli adulti, preferisce il silenzio fuorviante che genera ansia, a dire la verità, spesso doloroso da sentire ma che, se parlato e detto da entrambe le parti, permette al soggetto di costruirlo e umanizzarlo. (F. Dolto, 1994)

Perché ciò accada è necessario un tempo, un tempo soggettivo:

“La normalità è che il rispetto della realtà prenda il sopravvento. Tuttavia questo compito non può esser realizzato immediatamente. Non è affatto facile indicare con argomentazioni di tipo economico perché tale compromesso con cui viene realizzato poco per volta il comando della realtà risulti così straordinariamente doloroso. Ed è degno di nota che questo dispiacere doloroso ci appaia assolutamente ovvio. Comunque, una volta portato a termine il lavoro del lutto, l’Io ridiventa in effetti libero e disinibito.” (S.Freud)

È un percorso in un territorio in cui è necessario che il terapeuta si presenti ogni volta in punta di piedi, facendo capolino, con l’orecchio teso e un passo lento e preciso che conosce il limite. Si tratta di tenere una posizione alla cura che accolga la lacerazione, l’indicibile, il dolore del soggetto e lo sostenga nel timido atto di coraggio di ridare voce alla vitalità del suo desiderio. Non è un processo facile, non si tratta di individuare le paure e di esorcizzarle, ma di permettere al soggetto di riaffrontare la vita. Ci vuole silenzio e incoraggiamento, rispetto e attesa. Nell’ambito di uno scambio capace di farsi carico della complessità affettiva e simbolica, arriva un momento nel quale per quel bambino è possibile riaffacciarsi al mondo dando di nuovo valore a ciò che lo riguarda e sperimentarne il piacere, il passato può allora prendere il suo posto senza risucchiare il presente che a sua volta può abitare lo spazio per poter essere.

Riferimenti bibliografici

Dolto F., “Tout est langage”, 1994, Gallimard, Paris.
Freud S., “Lutto e melanconia”, 1917, in Opere 1915-1917. “Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti”, Bollati e Boringhieri, Torino, vol. VIII.
Freud S., “Disagio della civiltà”, 1929, in Opere 1924-1929. “Inibizione, sintomo e angoscia”, Bollati e Boringhieri, Torino, volume X.

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