La solitudine al femminile è effetto di quel vuoto strutturale di identificazione con cui ogni donna –una per una– arrangia –come una musica– il suo modo singolare di rapportarsi alla femminilità. Un vuoto che non è un difetto ma piuttosto l’apertura al senza limite- infinito femminile, che la rende più libera dai sembianti (significanti, insegne) rispetto all’uomo, ma al contempo dà vertigini, angoscia, disorienta.
Freud lo definì il continente nero della femminilità.
Prendendo a prestito il linguaggio della fisica è come “un buco nero, al centro del quale, come descritto dalla relatività generale, si trova una singolarità gravitazionale, una regione in cui la curvatura dello spaziotempo e dunque la sua forza di gravità diviene infinita e quindi la teoria della Relatività Generale di Einstein non riesce più a dirci nulla”. Questo buco, che ha a che fare con l’indicibile, non di rado genera un horror vacui, un orrore della femminilità che può riguardare sia gli uomini che le donne.
Nelle donne si declina spesso come rifiuto della femminilità, con il tentativo di colmare ad ogni costo quel vuoto strutturale che causa l’estraneità a se stessa; tale rifiuto può prendere forma in più versioni, tra cui : il fantasma dell’altra donna -colei che sarebbe completa-, la forma della devastazione con la madre e spesso, allo stesso modo, con un partner in un rapporto di hainamoration (odio-innamoramento), l’identificazione immaginaria al maschile, spesso al padre. Forme sul registro immaginario che suppongono che l’altra/o abbia qualcosa che a lei manca e che le serva per sbarazzarsi della scomodità che il femminile provoca.