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Fantasie sull’analisi
Si entra nello studio di una psicoanalista con tante fantasie sul parlare in analisi: che sia il luogo della confessione, del giudizio e del perdono, della verità a tutti i costi, dello sfogo, della risoluzione, dell’armonia, del silenzio.
Si inizia con una parola organizzata in modo ideale, al crocevia
tra le fantasie individuali e quelle dell’Altro con cui ci si è costituiti.
Non di rado questo ideale della parola inibisce la domanda di iniziare a parlare, e a volte lo stesso avanzare del lavoro analitico.
Ma “In fondo l’analisi è semplicemente questo:parlare prima di pensare”
affinché emerga, battito dopo battito, quel sapere non-saputo che riguarda il soggetto, e che ha da essere letto per lavorare sulla sua questione problematica.
E’ scomodo sì, faticoso sì, perché qualcosa della propria soggettività si smuove e in modo inedito, sorprendente.
Eppure anche questo non basta per dire che si è in analisi.
Il collega psicoanalista brasiliano Jorge Forbes lo dice così : “non basta dire che vai da uno psicoanalista ben qualificato, così tante volte a settimana. Anche il postino dell’analista si reca spesso lì e non è per questo che è sotto analisi. Era nota la storia di un paziente che dopo molto tempo racconta al “suo analista” che sta raggiungendo la fine del suo lavoro. Quest’ultimo risponde: – “Il tuo errore, penso che stai per iniziare”.
Entrare nell’analisi è cambiare la posizione soggettiva: la persona smette di riferire le sue lamentele alle scene attuali della sua vita quotidiana e inizia a capirsi in “Un’altra scena”, come ha detto Freud. Questo è difficile da raggiungere, perché la realtà allevia sempre l’impegno di ogni persona nel suo malessere, motivo per cui molte persone amano vivere una vita infernale. Se vogliamo tradurlo in un concetto, entrare in analisi è lasciare una morale dei costumi e installarsi nell’etica del desiderio.”