
Il dolore è meno dolore se parla. È possibile ? Che la parola in analisi agisca sul dolore? Non si tratta di uno sfogo, di catarsi, di sedazione, così come lo troviamo nell’amicizia, in certe espressioni artistiche e sportive, nella preghiera, negli psicofarmaci.
La parola in analisi affetta il dolore, lo svuota, lo scandaglia, facendogli perdere, via via, consistenza. In seduta è piuttosto la parola della persona a portare tratti di densità, corporeità in linguaggio, attraverso le formazioni dell’inconscio, battito dopo battito.
Quel “di più” che alloggia nel corpo e nella mente del sofferente si presenta nel luogo dell’analisi, che in quanto luogo vuoto tiene quel “di più” , lo riduce, lo rilancia, lo articola, lo stacca, lo annoda diversamente.
Si fa così posto al che la persona possa dire ciò che è implicato di sé in ciò che lo affligge. La singolarità del soggetto diviene protagonista e ciò che è en souffrance (in giacenza/sofferenza) diviene dire, un ben-dire che porta benefici e cambiamenti nella vita della persona.