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I lunedì dal mondo: velocità e urgenza
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Urgenza di capire, urgenza di “stare bene”, velocemente “risolvere”, eliminare il problema.
Terapie brevi, promesse di felicità in pasticche o tecniche in 8 somministrazioni.
E se non si è abbastanza veloci come indicato nel bugiardino? È colpa di qualcuno o di qualcosa.
Ma che cos’è il tempo?
Il tempo è innanzitutto convenzione socio-culturale, cioè che il ritmo tenuto e preteso deriva da una norma sociale dominante nel proprio contesto. Così che il tempo in Italia non è come il tempo in Thailandia.
E non solo, il tempo sociale è omologo ai mezzi che quella società utilizza, e oggi la tecnologia e il virtuale regnano sovrani, alla velocità del click. Tutto questo confligge con un altro tempo, che è il tempo soggettivo.
Il tempo soggettivo è un tempo interno, inconscio, che non segue la cronologia, scandisce dei battiti in modo singolare e unico.
La situazione diventa più problematica quando il tempo soggettivo rincorre il tempo sociale per adeguarvisi, cedendo sul proprio desiderio, cioè cedendo sulla propria singolarità.
Freud lo chiamava il disagio della civiltà.
Arriva fino al disagio di concedersi un proprio tempo per dire e ascoltarsi su quel malessere che affligge,
​sul desiderio singolare che spinge.
È impossibile un tragitto di parola, di riconoscimento di come si é implicati nella propria sofferenza, senza darsi il tempo di una scansione, di un respiro, di una parola, di un volerne sapere qualcosa. È un passo dopo passo, nella propria direzione, non c’è altra via, è il prezzo da pagare per non tornare al punto di partenza. L’insopportabilità al tempo è una delle versioni del “non ne voglio sapere nulla” di ciò che riguarda me nella faccenda di cui parlo. Ma cosa succede quando non se ne vuole sapere nulla? Che si continua a rispondere all’ Altro sociale, familiare, e la distanza dalla verità singolare cresce a dismisura, nutrendo il sintomo.

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