«Se piovessero cocomeri la gente avrebbe buchi in testa, allora sì il mondo sarebbe scherzoso! » (G.)
Incontro G. solo una volta, in istituzione, e nel mezzo della sua frenesia spasmodica, del suo linguaggio che si rincorre come un tornado, della sua confusione tra il riso e il pianto, emerge questa sua frase straordinaria. G. mi indica, nel nostro incontro, che per respirare c’è bisogno di buchi, che quando è tutto pieno non ci si può fermare, non si può scherzare, né prendere fiato quando si parla, né giocare..
G., adolescente sganciata e fragile, irraggiungibile dall’altro, emerge come soggetto in quel suo dire, così bizzarro eppure così preciso nella sua formulazione di domanda all’Altro.
Diceva lo psicoanalista J. Lacan “questi muri sono del tutto capaci di farsi sentire a condizione di avere le orecchie ben aperte”. Orecchie aperte al dire del soggetto!
Di che muro si tratta?
È sempre presente un muro tra sé e l’altro, effetto della differenza tra sé e l’altro, dell’irriducibile singolarità di ciascuno.
“Tu sei come me, quindi puoi capirmi” è un’illusione tanto frequente quanto puntualmente delusa, c’è un’impossibilità di fare passare attraverso il linguaggio la parte più intima e complessa di noi.
Quest’ impossibilita è come un muro che viene maneggiato in modo differente da ciascuno.
Ci sono muri bucati, adornati, coperti, distorti, negati, odiati, scivolosi, incisi..
Che posto trova la parola in psicoanalisi di fronte a un muro?
“Eccoci dunque spalle al muro, al muro del linguaggio. Dove siamo al nostro posto, cioè dalla stessa parte del paziente, e su questo muro, lo stesso per lui e per noi tenteremo di rispondere all’eco della sua parola”. (J. Lacan)
Stare. Cogliere e ascoltare, pian piano, il materiale di cui è fatto, la sua singolarità, le sue tracce, i suoi segni. Muoversi sulle sue pareti e poi provare a metterne in catena i segni, farne spiragli, fessure, piccoli passaggi, ad ogni incontro.In alcuni casi, per soggetti “fragili” come G., questo muro è pieno e compatto, un tutt’uno che non lascia spazi, ne rimanda ad altro, è; si tratta allora di farsi partner di quel soggetto per tessere un luogo che faccia da supplenza ad una commedia non nata.
Quale commedia? La commedia della vita, dell’incontro tra esseri umani, la commedia è “rappresentazione scenica della vita quotidiana, movimentata da dialogo e azione, in cui si alternano situazioni ora tristi ora liete”, ciò che consente l’entrata nel mondo e rende più sopportabile il rapporto con l’ Altro. In altri casi si tratta di fare i conti, con dolore e fatica, con l’esistenza di quel muro, con quella solitudine che ne deriva e che ritorna sul soggetto ad ogni incontro con l’Altro. In altri casi ancora, c’è necessità che il soggetto scriva qualcosa, una lettera, lì dove c’è solo silenzio e pietre, che costituisca un nuovo modo più vitale/meno mortifero, di avere a che fare con quel muro tra sé e l’Altro, con l’impossibile. Ci vuole tempo?
Sì.
È proprio ciò a cui si riferisce Sigmund Freud, in “Analisi terminabile e interminabile” quando scrive che psicoanalizzare è un mestiere impossibile. Cioè che lo psicoanalista ascolta proprio il rapporto di ciascun soggetto con l’impossibile, con ciò che sta proprio su quel muro, e da lì ne dirige una cura al singolare.