Ciascun soggetto ha inserito il Covid19 nel suo fantasma.
È il destino di ogni parlessere che “per il soggetto non ci sia altra entrata nel
reale che il fantasma” [1]. E nel particolare, qual è l’annodamento di ciascun parlessere
con l’Altro nel suo singolare rapporto con la pulsione?
Nel periodo di confinamento, i colloqui (in studio, al telefono, in videochiamata) si sono susseguiti nella radicalità delle manovre di maneggiamento della catena significante di ciascuno, risposte allo sfilacciamento imprevedibile:
intermittenza, regolarità, ritiro e ritorno.
In Il transfert e la pulsione, J. Lacan avverte:
“Non c’è soltanto quello che,
in questa faccenda, l’analista intende fare del proprio paziente. C’è anche quello che
l’analista intende che il suo paziente faccia di lui”. [2]
E continua… in Il campo dell’Altro e ritorno sul transfert:
Per questo motivo possiamo dire che, dietro al cosiddetto amore di transfert, c’è
l’affermazione del legame del desiderio dell’analista con il desiderio del paziente. È ciò che Freud ha tradotto con una specie di rapido raggiro, specchietto per le allodole, dicendo – dopotutto non è che il desiderio del paziente, tanto per rassicurare i colleghi. È il desiderio del paziente, sì, nel suo incontro con il desiderio dell’analista [3].
Tenere acceso il motore del dispositivo analitico, significante che, nel tema di cartello Il perturbante nel dispositivo analitico ai tempi del Covid19, mi suonava strano alla sua scelta e che solo oggi, dopo la conclusione, si rischiara nella sua prossima estraneità ai dispositivi di protezione anticovid19.
Reale analitico e Covid19. Dispositivo analitico e dispositivi di protezione.
Après-coup che tocca punti di giuntura del reale e del simbolico.
Se opponiamo il simbolico e il reale e mettiamo nell’uno e nell’altro un vacuolo avremo il simbolico nel reale e il reale nel simbolico; ovvero menzogna – ciò che inganna e angoscia – ciò che non inganna. È tra queste categorie opposte che possiamo far avanzare il transfert, evidenziare che è lì che Lacan si è sforzato di collocare al suo posto, e bisogna dire al suo posto equivoco, il transfert.
Evidentemente lo statuto equivoco del transfert è anche, singolarmente, lo statuto
equivoco del sintomo [4].
Ho acconsentito al battito del cartello-lampo, accogliendo l’appello della Scuola a fare legame per lavorare su Paure?, tema del convegno nazionale che sarebbe dovuto avvenire nel giugno 2020. Mi sono trovata nella considerazione nuova, sgombra da diffidenza, del tempo breve nel lavoro di cartello, spinta da un’insolita fretta.
Ho proposto un invito deciso, mossa dal desiderio di leggere con colleghi del campo freudiano attorno a ciò che irrompeva nella pratica analitica via Covid19, richiamata a chiara voce dal “Senza standard ma non senza principi”.
“Il desiderio dell’analista? Il desiderio dell’analista non è un desiderio puro. È un desiderio di ottenere la differenza assoluta” [5].
Il cartello non produce manuali per spiegare ciò che è inspiegabile, si dispiega piuttosto nelle fuggevoli facce della questione posta, interrogandosi e rinnovandosi nel transfert di lavoro. L’esperienza di cartello non è arrivare a risposte, ma creare quel vuoto necessario a non cedere sul proprio desiderio. Quel vuoto del vasaio, che è al centro del Seminario VII [6], che produce qualcosa di un volerne sapere, di un sapere nuovo che è differente per ciascuno.
Eccoci allora all’ ouverture del lavoro di cartello: dalle paure al perturbante.
Oscillare tra le paure e il perturbante, tra ciò che funge da difesa e ciò che non inganna.
Scostare il velo delle paure per mirare a ciò che di più radicale emerge nella seduta analitica, nella considerazione fondamentale che “l’analista, in quanto agente dell’operazione analitica ha necessariamente la funzione di perturbatore dell’equilibrio nevrotico” [7].
Lo scritto Il Perturbante [8]di Freud è stato un’antenna atta a tenere e attrarre le onde di interrogazioni e le testimonianze di ciascuno dei cartellizzanti, al lavoro sulla clinica psicoanalitica al tempo del Covid19. Il cartello si è strutturato su una partecipazione mista: due colleghi hanno sempre partecipato online, una collega ed io per la prossimità dei nostri studi ci siamo orientate a una presenza con il corpo, che non si è però sottratta dal trasferirsi online in qualche appuntamento, a causa di contingenze individuali.
Corpo-estraneità
Corpo-estraneità? Il mio tema di lavoro.
Faglia beante che spinge a parlare e a dire attorno, a meno che il silenzio non
faccia da tappo.
Silenzio della pulsione, silenzio del perturbante, silenzio del Covid19.
E poi? Dal corpo immaginario al corpo estraneità della pulsione, nel
movimento transferale che fa posto al soggetto nel rinnovare la messa al lavoro di
un dire singolare.
E dopo, ancora?
Corpo-estraneità è l’anamorfosi del quadro Gli Ambasciatori di Holbein,
che si presentava puntuale all’appuntamento dei miei interventi nel cartello. Traccia
che è emersa dal mio canto come annodamento della clinica al lavoro ai tempi del
Covid19 e del Das Unheimliche di Freud.
Un quadro, un po’ particolare, ha fatto da ponte.
Anamorfosi: c’era per me necessità di presentare quel qualcosa, che emerge
come dentro e fuori dal quadro al contempo; di ritornare su ciò che è inafferrabile,
indicandolo, per mantenere la bussola sulla questione per me sollevatasi.
Come scrive Baltrusaitis:
Il mistero dei due Ambasciatori è in due atti. Il primo atto quando il visitatore entra dalla
porta principale…un punto solo lo turba: lo strano oggetto che vede subito ai piedi dei due personaggi…quell’oggetto singolare resta assolutamente indecifrabile. Sconcertato, il visitatore esce dalla porta di destra, la sola aperta, ed eccoci al secondo atto…per improvvisa contrazione della visione la scena scompare e viene fuori la figura nascosta. Dove, prima, tutto era splendore mondano, ora vede un teschio. I due personaggi, con il loro apparato scientifico, svaniscono, e al loro posto nasce dal nulla
il segno del Nulla. Fine della rappresentazione. [9]
Hans Holbein dipinge il quadro Gli Ambasciatori nel 1533, in un periodo che succede all’apogeo rinascimentale, un periodo di crisi generale in tutta Europa [10].
L’arte allora assume il principio della citazione: citare il passato per vivere il presente. In tale direzione H. Holbein rispetta la prospettiva, dipinge i due ambasciatori che dialogano tra loro, ma immette in questo spazio l’anamorfosi;
l’anamorfosi è una tecnica di distorsione matematico-geometrica di un’immagine: si rispetta l’ottica geometrale, in virtù però di un punto geometrale spostato, non più posto di fronte all’immagine, ma a lato. Qualcosa di incomprensibile, una macchia informe, che assume le fattezze della morte nella figura del teschio, si insinua in uno spazio ordinato.
Come a dire che nessuna diplomazia può fermare la morte e soprattutto
l’impossibilità per l’uomo di pensarla, afferrarla.
Scrive S. Freud ne Il Perturbante: “E possiamo davvero trascurare del tutto
l’elemento dell’incertezza intellettuale, dal momento che abbiamo ammesso la sua
importanza per quanto vi è di perturbante in ciò che attiene alla morte?” [11].
Il padre della psicoanalisi con questo scritto si cimenta su qualcosa di poco
chiaro e sfuggente a lui stesso:
La difficoltà che emerge nello studio del perturbante […], è che la sensibilità verso questa
qualità del sentire è sollecitata in maniera diversissima da individuo a individuo. Anzi, l’autore del presente saggio deve accusare una sua particolare sordità in proposito, laddove occorrerebbe invece una ricettività particolarmente acuta [12].
Una lettera a Ferenczi ci ricorda come per scrivere questo breve saggio Freud abbia accantonato per un po’ la stesura di Al di là del principio di piacere [13], recuperando delle tracce già depositate fra il 1912 e il 1914, in Totem e tabù.[14]
La scrittura de Il Perturbante si colloca dopo la fine della Prima Guerra Mondiale e mentre la pandemia dell’influenza spagnola imperversava in Europa e nel resto del mondo, uccidendo fra il 1918 e il 1920 decine di milioni di persone. Le preoccupazioni di S. Freud per la salute si sommano alle notizie circa la situazione economica del momento: “Tutto a Vienna è costoso, insostenibile. Chi lo sa quanti di noi sopravviveranno!” così nel luglio di quello stesso anno scrive all’allievo K. Abraham. La pandemia non risparmia la famiglia del padre della psicoanalisi. Completerà la scrittura poco prima che la figlia Sophie muoia di polmonite settica dopo aver contratto l’influenza spagnola15. Il 29 gennaio del 1920, scrive all’amico e collega psicoanalista S. Ferenczi: “Strappata via! Nulla da dire” [16].
Il campo dell’artista e dello psicoanalista afferrano la discontinuità provocata dal reale e la lavorano offrendo una produzione particolare. Una produzione particolare che non satura la faglia presentificata dal reale, ma piuttosto, con mezzi e scopi differenti, la rende diversamente avvicinabile. Qualcosa da presentare…qualcosa da dire o da scrivere.
Ritornando al quadro:
Tutto ciò rende manifesto che, nel cuore stesso dell’epoca in cui si delinea il soggetto e si cerca l’ottica geometrale, Holbein rende qui visibile qualcosa che non è altro che il soggetto come annientato – annientato in una forma che, propriamente parlando, è l’incarnazione fatta immagine del (-φ) della castrazione, che per noi orienta tutta l’organizzazione dei desideri attraverso il quadro delle pulsioni fondamentali. […] Come non vedere qui, immanente alla dimensione geometrale […] qualcosa che è simbolico della funzione della mancanza, dell’apparizione del simulacro fallico? [17]
E oggi? In un’epoca in cui la tecnica si ingegna a fare a meno dell’umano, come indica il campo dell’intelligenza artificiale, in cui la scienza medica fa del soggetto un oggetto maneggiabile, sollevando il campo della bioetica, in un’epoca in cui il discorso capitalista è motore di una spinta al consumo infinito dell’oggetto, il reale Covid19 fa battuta d’arresto ricordando che abbiamo un corpo. Quale corpo?
Un corpo frontiera, un corpo esposto all’altro, un corpo contagiato dall’Altro.
Contagiato nelle sue pulsazioni, contagiato dal linguaggio. Quanto di più umano c’è
in questo! “Avere un corpo che parla”, campo di ricerca e lavoro della psicoanalisi,
dall’epoca di Freud fino ai nostri giorni.
Clinica al lavoro, un giro su quattro termini
L’Unheimlich è ciò che appare nel posto in cui dovrebbe stare -phi. Tutto parte in effetti, dalla castrazione immaginaria, poiché non c’è, e non a caso, un’immagine della mancanza. Quando qualcosa appare lì, significa dunque, che viene a mancare la mancanza. È in quel momento che comincia l’angoscia.
[…] Il posto designato come meno –phi, lo chiameremo Heim. Questo posto rappresenta l’assenza in cui noi siamo, […] esso ci fa apparire come oggetto, in quanto ci rivela la non autonomia del soggetto. […] È ciò che si trova al culmine di Heim a essere Unheim [18].
[…] l’elemento angoscioso è qualcosa di rimosso che ritorna. Costituirebbe appunto il
perturbante […] allora comprendiamo perché l’uso linguistico consente al Heimliche di trapassare nel suo contrario, l’Unheimliche: infatti questo elemento perturbante non è in realtà niente di nuovo o di estraneo, ma è invece un che di familiare alla vita psichica fin dai tempi antichissimi e ad essa estraniatosi soltanto a causa del processo di rimozione. Il perturbante è qualcosa che avrebbe dovuto rimanere nascosto e che è invece affiorato. [19]
F., dice che i tre mesi di lockdown sono stati come i tre mesi a 15 anni, quando nell’incontro radicale con l’inconsistenza e la mancanza dell’Altro, nelle versioni della malattia e della morte, è emerso l’interrogativo sul suo posto nel desiderio dell’Altro. Da allora sono trascorsi più di tre decenni. Ciò che il lockdown teneva al riparo, nell’inibizione, si riattiva con prepotenza al momento di uscire dal confinamento: è l’imbarazzo del corpo sulla scena, “come una ladra che ruba qualcosa a qualcuno”.
Per G. il risveglio sull’impossibile, sul non c’è garanzia via Covid19, ha provocato un distanziamento dall’ “essere tutta presa” nella compattezza immaginaria, consentendole di alzare lo sguardo sulla differenza, su ciò che manca. Il “tu mi turbi” nel suo versante di chiamata del desiderio apre sull’annodamento con una faccia disturbante dell’amore, che sconosciuta fa capolino nel dire in analisi.
Per S., 7 anni, i sogni d’angoscia e i sintomi corporei sono stati la risposta alla destabilizzazione. “… è per il coronavirus! Che non dovevano sapere e invece si è saputo!
Nessuno lo doveva sapere e invece l’hanno saputo! E si è fatto il problema!”
Sono stata convocata al lavoro di scrivana: Autrice: S. A; Scrivana: V.R.
Scrivana (letteralmente!) di quel teatro di pupazzi che S. faceva vivere al di là dello schermo, con scansioni e puntuazioni dalla parola allo scritto e ritorno. L’indicibile si intreccia nelle pieghe di un filo narrativo, diviene meno insopportabile. Sei capitoli: il quaderno delle storie. Effetto di parola ed entusiasmo agli appuntamenti, la “Storia” attendeva di essere “fatta”.
Per L. 12 anni, invece si è trattato di fare i conti con quella sregolatezza del
reale, a cui solitamente risponde con l’appello a una norma rigorosa e un ordine
delirante; con il confinamento, il suo annodamento già traballante è vacillato: rischio
di Hilflosigkeit. Le cifre e la matematica sono stati lo sfondo che ha consentito a L.
di parlare, attraverso fort-da dell’immagine e inquadrature di una sola parte del
corpo. Tenere una forma attraverso una formalizzazione rigorosa come quella
matematica. Fare tenuta. “Quando ci conversiamo di nuovo?” mi domandava
puntualmente al momento del saluto nei primi incontri.
Il tempo del Covid19 ha messo sottochiave (lockdown) ciò che piuttosto
entra dalla finestra, da quell’altro giro, (giro della pulsione – giro dall’Altro), che
produce gli effetti al singolare da cui ciascuno parla, da cui ciascuno sogna ad occhi
aperti.
Un ospite $-gradito: si tratta forse dell’ombelico del sogno?
Suona la sveglia, mi sveglio. Fine del sogno.
Bibliografia:
[1] J. Lacan, Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 322.
[2] J. Lacan, Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi [1964], Einaudi,Torino 1979, p. 154.
[3]Ivi, p. 249.
[4] Cfr. J.-A. Miller, L’esperienza del reale nella cura analitica, in La Psicoanalisi, n. 28, Astrolabio, Roma 2000, pp. 230-231.
[5] J. Lacan, Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi , cit., p. 271.
[6] J. Lacan, Il Seminario VII. L’Etica della psicoanalisi [1959-1960], Einaudi, Torino 2008.[7] J.-A. Miller, “L’esperienza del reale nella cura analitica”, cit., p. 232.
[8] S. Freud, Il Perturbante [1919], in Opere, vol. 9, Bollati Boringhieri, Torino 2000.
[9] J. Baltrusaitis, Anamorphoses ou magie artificielle des effets merveilleux, Olivier Perrin, Paris 1955,trad. it. Anamorfosi o magia artificiale degli effetti meravigliosi, Adelphi, Milano 1978, p. 111.
[10] A un periodo di massima fiducia nella ragione e nell’uomo, nel quale l’arte arriva a fondare la profondità prospettica che si fonda sulla geometria euclidea (simmetria, proporzione e armonia) segue un periodo di crisi radicale: la scoperta dell’America (1492), il sacco di Roma (1527), la rivoluzione Copernicana (1530), la nascita della finanza moderna, la riforma protestante di M. Lutero.
[11] S. Freud, Il Perturbante, cit., p. 108.
[12] Ivi, p. 82.
[13] S. Freud, Al di là del principio di piacere [1920], in Opere, vol. 9, cit.
[14] A proposito del Caso clinico dell’uomo dei topi, ne scrive in una nota a piè pagina: “Sembra che noi attribuiamo il carattere di ‘perturbanti’ a certe impressioni – che tendono a confermare l’onnipotenza dei pensieri e il modo di pensare animistico in generale – allorché nel nostro giudizio ce ne siamo già distolti”, in S. Freud, Totem e Tabù, Bollati Boringhieri, Torino 2015, p. 109.
[15] Cfr. F. Marchioro, Eros e Thanatos, quando l’epidemia entrò in casa Freud, consultabile al seguente indirizzo: https://www.altoadige.it/cultura-e-spettacoli/eros-e-thanatos-quando-l-epidemiaentr%C3%B2-in-casa-freud-1.2339176
[16] Cfr. J. Webster, La psicoanalisi ai tempi dell’epidemia, consultabile al seguente indirizzo: https://www.journal-psychoanalysis.eu/la-psicoanalisi-ai-tempi-dellepidemia/
[17] J. Lacan, Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi , cit., pp. 86-87.
[18] J. Lacan, Il Seminario. Libro X. L’angoscia [1962-1963], Einaudi, Torino 2007, pp. 47-53.
[19] S. Freud, Il Perturbante, cit., p. 102.