Il mio intervento al Congresso, trattandosi di un caso clinico, per rispettare la privacy dell’interessato, non viene pubblicato.
Presentazione di Yves Vanderveken a PIPOL9
Il mio intervento al Congresso, trattandosi di un caso clinico, per rispettare la privacy dell’interessato, non viene pubblicato.
Presentazione di Yves Vanderveken a PIPOL9
ll cervello sta per diventare il polmone di Antonietta [1]. Non c’è più niente che non vi sia riferito. Dopo che il genoma è stato decriptato, gli sviluppi tecnici della scienza ci promettono di svelare – certamente… a breve! – gli ultimi segreti sul funzionamento cerebrale. Neuro-qui, neuro-là, le speranze sono grandi, i progressi evidenti.
Ciò che colpisce è che non sono più solo i danni neurologici o il cosiddetto sviluppo dell’intelligenza ad esserne l’oggetto. Tutte le dimensioni dell’essere e del pensiero ne sono contemplate e interessate. Affetti, sentimenti, nevrosi, sessualità, amore, odio e felicità – non vi sfugge niente. La «vita mentale» [2] riceve la promessa di accedere al rango di una scienza e di un trattamento «oggettivo». L’inconscio stesso suona come l’ultima roccaforte di cui si troverà la chiave neurologica. Da qui le derive in cui sprofondano alcuni, inclusi evidentemente gli psicoanalisti, di una possibile assenza di separazione fra le discipline: il cervello si presenta come il denominatore comune «naturale» della supposizione che lo psichico sia cerebrale.
Non lasciamoci ingannare: l’inconscio della psicoanalisi, è meglio eliminarlo. Confessano che si tratta di rettificare l’errore freudiano che, al pari di Cristoforo Colombo, avrebbe scoperto una cosa diversa da quel che pensava [3]. Viva l’inconscio cognitivo, in cui l’inconscio si trova ridotto a ciò che né Freud né Lacan volevano che fosse: i processi non coscienti. Qui si trova il progetto di fondare il cognitivismo sull’inconscio stesso.
La vera alleanza è altrove. La marcia in avanti della scienza nel suo accoppiamento alla tecnica fonda, nell’epoca in cui la produzione è divenuta il significante padrone mondiale, un discorso della quantificazione che travolge ogni cosa. Il materialismo cognitivo, e la sua credenza che l’uomo sia una macchina per l’elaborazione dell’informazione, ha trovato nel cervello il suo oggetto principale [4]. Questo gli consente di velare meglio o di restituire lustro alla sua origine behaviorista, che, non molto tempo fa, faceva vergognare nelle sue applicazioni al campo dell’umano. Il cognitivismo si impegna a dimostrare la legittimità del riduzionismo che lo abita: ridurre la qualità a delle quantità. La valutazione ne è il braccio operativo e la sua ideologia.
Un po’, molto, appassionatamente è applicato a tutti i campi e «il suffisso neuro è la forma che prende la cifra quando viene a catturare lo psichico» [5]. La tomografia cerebrale dà a queste misure e correlazioni, dove tutto può essere comparato, un substrato apparentemente scientifico – di cui i più onesti talvolta dicono di non sapere che cosa dedurne -, ma da cui inferiscono dei processi mentali e delle soluzioni terapeutiche che per la maggior parte delle volte non portano molto lontano. PIPOL 9 si adopererà per definire questa radioscopia delle neuroscienze.
L’individuo è sedotto da questa proposta di identificarsi al proprio organismo [6] per mezzo della misura. Ama immaginarsi di essere una macchina e non gli dispiace vedere che il funzionamento del suo cervello è paragonato ad un computer dalle potenzialità incredibili. Attraverso la cifratura crede di trovare una garanzia e l’esistenza del suo essere, che non cessa di sfuggire, e che è costantemente impegnato a voler raggiungere. Vi trova anche un ideale di uguaglianza – tutti identici e confrontabili – adatto alla preoccupazione democratica. La politica vi trova – dopo che le è stato chiesto di occuparsi della sanità e della felicità dei popoli – il che, da una parte, non ci rassicura – un alleato nella gestione e nel dominio delle popolazioni. Argomentare e ottimizzare, con la rettifica di ciò che si trova detto mille volte sulle distorsioni cognitive o sul sottoutilizzo delle potenzialità, sono altrettante promesse di un futuro migliore. Certo, la curva è spesso rientrante – il cervello è una macchina complessa, lo vedete!
Così sia. Sarà per il meglio… e per il peggio. L’introiezione del superio della produzione, Lavora! – Godi!, dirà Jacques Lacan – non ha aspettato per produrre i suoi effetti di ritorno: burnout, suicidio sul lavoro, dipendenza, depressione, violenza, esclusione, segregazione e odio del diverso. Quando non assumono questa intensità mortifera, il nuovo imperativo che prescrive di essere padroni di se stessi e del proprio corpo in un rapporto di benessere, incontra i paradossi del godimento che l’esperienza di una psicoanalisi isola. Vale a dire, il malessere e la non tranquillità, non dell’individuo ma di ciò che con Lacan chiamiamo il soggetto diviso, che non è mai uguale e trasparente a se stesso, che resta non omogeneo, non categorizzabile, incomparabile. In breve, ciò che dell’individuo mette «in scacco gli algoritmi meglio concepiti […] i calcoli più sofisticati che pretendono di spiegare, valutare e prevedere tutto» [7], anche attraverso le connessioni neuronali e le attività del cervello.
A questa civiltà della cifra e della tomografia cerebrale si oppone un’etica del desiderio. L’inconscio della psicoanalisi testimonia di questo. No, l’inconscio non è una memoria, sepolta, dimenticata, non cosciente. Non è più la traccia lasciata dall’esperienza, che testimonierebbe della plasticità neuronale. Se Freud e Lacan hanno potuto esplorare queste piste, è per arrivare, attraverso l’esperienza, alla conclusione che l’inconscio che noi incontriamo nella psicoanalisi testimonia di un reale che gli è proprio. L’esperienza di una psicoanalisi non dice niente al cervello. PIPOL 9 ne raccoglierà le testimonianze.
L’esperienza accumulata dalla psicoanalisi testimonia di una insurrezione del sintomo contro la categorizzazione forzata alla quale il soggetto rifiuta di lasciarsi ridurre. Con i suoi effetti di ritorno che fanno sempre effrazione, buco, l’inconscio della psicoanalisi testimonia di una commemorazione di un incontro, certamente, ma di un incontro mancato con una soddisfazione che converrebbe e che, per questo, non è mai avvenuto. L’inconscio è questa insistenza di una perdita inassimilabile che reitera, e non si lascia né rappresentare, né mettere in immagine. Il corpo è «una superficie d’inscrizione del godimento [come lo chiamiamo con Lacan] [che] non cessa di sfuggire» [8]. A questo riguardo, l’immagine del corpo vela il reale del godimento. Essa dà l’illusione, con una immagine mentale (di cui Lacan ha saputo tradurre l’operazione nello stadio dello specchio), di un’unità e completezza del corpo, mentre la pulsione che lo anima è sempre in qualche modo incompleta, parziale, come diciamo con Freud.
Questa immagine è ciò che le neuroscienze tentano di catturare con l’esame radiografico del cervello. Il paradosso è che questa immagine non è del corpo, ma riguarda il mentale, l’io (moi) come immagine ideale di sé. È un misconoscimento delle proprietà del corpo dell’essere parlante. Le neuroscienze proseguono questa volontà di misconoscimento con un arsenale tecnico senza precedenti. A questo proposito possiamo dire che il cervello non conosce la pulsione – nel senso in cui la pulsione fa buco nella cognizione.
PIPOL 9 ci permetterà di definire i contorni del reale di cui l’inconscio testimonia. Dovrebbe permetterci di ridefinire questa nozione di inconscio in considerazione dell’epoca. Noi ribadiamo, con Jacques-Alain Miller, che dobbiamo sostenerlo come «ek-sistente fuori dalle norme di un discorso scientifico, se vogliamo salvare la psicoanalisi» [9]. In effetti, è la posta in gioco. Se in questo clamore della falsa evidenza la voce della psicoanalisi può sembrare debole, la potenza della forza del reale del sintomo non manca di assicurare qualche intoppo a coloro che scommetterebbero sulla sua eliminazione o la sua padronanza.
Fare l’ipotesi etica dell’inconscio della psicoanalisi, da un’altra scena in cui il soggetto stenti a riconoscersi identico a se stesso, ha delle conseguenze nel rapporto all’umano. Esso determina una dimensione etica che attraversa l’insieme delle pratiche che vi si rapportano.
Tutti i campi dell’umano, compresa l’arte, sono oggi convocati dal neuro-paradigma. Il bambino – oggetto elettivo dell’educazione – ne è l’obiettivo principale. Ma oggi l’infanzia si prolunga molto, l’essere parlante è interessato nel suo insieme. Niente sembra avere il suo posto al di fuori del campo degli apprendimenti [10]. I progetti in questo ambito sono attraversati da obiettivi stravaganti, nel migliore dei casi derisori, nel peggiore, nella loro dimensione etica, attentano a qualche principio di libertà. PIPOL 9 sarà in grado di raccoglierne e svelarne qualcuno all’opinione illuminata.
Infine, il campo della cosiddetta salute mentale è evidentemente colpito in prima linea. Se il neuro-paradigma può presentarsi modesto e abitato dalle migliori intenzioni, i praticanti di questa cosiddetta salute mentale, dell’Europa e del suo al di là, sono ben piazzati per vivere sulla loro carne la rettifica forzata delle pratiche in atto, applicate ovunque dalla politica e dalla sua amministrazione. Tutte le politiche prendono di mira palesemente il campo che noi chiamiamo del transfert e dell’inconscio. Perché ciò che è rimesso in discussione è ben al di là, è il campo dell’insieme delle pratiche della parola.
L’ideologia della cifra e il neuro-paradigma fondano dei discorsi senza al di là, che producono una vacuità semantica. Come Lacan indica, «il progresso della scienza fa svanire la funzione della causa» [11], nel senso in cui si produce un «vuol dire qualche cosa» laddove «si rompe l’implicazione del soggetto nella sua condotta»12. Essi coincidono in questo con la perdita del senso, dei valori morali e delle pratiche che si basano sulla ricerca di una verità. Ogni giorno ne vediamo dispiegarsi gli effetti. Il discorso politico stesso ne è attraversato, non senza qualche inquietudine per il futuro. Senza l’orientamento della psicoanalisi, che è una pratica che si costituisce sul movimento dei Lumi, il campo sembra libero sia per ogni forma di oscurantismo ed esoterismo, sia per un rinnovato boom della religione.
PIPOL 9 darà l’occasione a più di centoquaranta praticanti di dimostrare gli effetti di utilità pubblica delle pratiche cliniche che si basano ancora sull’ipotesi etica dell’inconscio, che dipende dal campo della parola e del linguaggio. Vi si farà un aggiornamento dei sintomi prodotti da queste nuove coordinate del discorso della scienza. Di fronte ai sintomi odierni, questa sarà anche l’occasione di rivelare la portata dello smarrimento che ha prodotto nel campo psy la sparizione progressiva della dialettica dei riferimenti clinici a vantaggio della loro classificazione statistica e neurobiologica – punti di riferimento che la psicoanalisi a orientamento lacaniano ha potuto preservare e aggiornare.
Non si mette in dubbio che ci siano degli interventi sul cervello che possano cambiare i comportamenti, modificarli. È anche ciò che continua a inquietare. Nessuno misconosce i progressi permessi dalla scienza nel campo medico in generale e nell’ambito del cervello in particolare. Tuttavia, c’è un salto quando entriamo nel campo della soggettività e del mentale. La psicoanalisi sarà in grado di raccoglierne gli effetti, in quanto essa è il luogo a cui si indirizza e dove si interpreta ciò che costituisce la faglia assoluta che abita l’essere parlante.
In quanto psicoanalisti, abbiamo l’esperienza che l’incontro con il godimento e le manifestazioni del desiderio – se possono forse produrre della dopamina! -, non ne evidenziano meno la contingenza assoluta. Godimento e desiderio sono sempre singolari, non rispondono ad alcun modello, e sono sottomessi solo alla legge del puro incontro. Nel campo del rapporto fra i sessi per l’essere parlante non si coglie niente di un programma stabilito – si può contare solo sull’invenzione. È ciò che Lacan indicava con l’aforisma: Non c’è rapporto sessuale. È su questo che fondiamo la nostra bussola come psicoanalisti. Nel corpo dell’essere parlante c’è quello che noi chiamiamo un godimento bizzarro, intrinsecamente disfunzionale. Esso fa ostacolo al rapporto fra i sessi e ad ogni possibilità di riconciliazione edonistica. Questa faglia è all’opposto di ogni determinismo fisico, di un programma o di un reale calcolabile. Essa procede da un reale che resta alla mercé della contingenza assoluta.
La psicoanalisi propone una scelta etica: promettere a chiunque voglia prestarvisi che non sarà paragonato e «rieducato», e al contempo offrirgli di afferrare al massimo le coordinate singolari che fondano l’inconciliabile della contingenza che gli è propria. Affinché possa orientarsi nella vita a partire dalla logica che costituisce il suo modo di essere sempre sintomatico, lontano dalle illusioni dell’identificazione.
Questa scelta è ciò a cui PIPOL 9 spalancherà le porte, guarderà in faccia e deluciderà ciò con cui non ha niente in comune!
Questo argomento sviluppato riprende le linee che organizzeranno il blog PIPOL 9
Traduzione di Marianna Matteoni
Link al sito PIPOL9
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1 Antonietta è un personaggio de Il malato immaginario di Molière.
2 Dehaene S., Vers une science de la vie mentale, Leçons inaugurales du Collège de France, Fayard, 2018.
3 Naccache L., Le nouvel inconscient, Freud, le Christophe Colomb des neurosciences, Odile Jacob Poches, 2009.
4 Miller J.-A., «L’orientation lacanienne, Tout le monde est fou», insegnamento pronunciato al dipartimento di psicoanalisi dell’università Parigi VIII, lezione del 16 gennaio 2008, inedita.
5 Miller J.-A., «L’orientation lacanienne, Tout le monde est fou», insegnamento pronunciato al dipartimento di psicoanalisi dell’università Parigi VIII, lezione del 23 gennaio 2008, inedita.
6 Cf. Laurent É., Il rovescio della biopolitica. Una scrittura per il godimento, Alpes, Roma, 2017, p. IX.
7 Ibid., p. VII.
8 Ibid., p. XII.
9 Miller J.-A., «L’orientation lacanienne, Tout le monde est fou», insegnamento pronunciato al dipartimento di psicoanalisi dell’università Parigi VIII, lezione del 9 febbraio 2008, inedita.
10 Lacan J., Il seminario. Libro X. L’angoscia (1962-1963), Einaudi, Torino 2007, p. 316.
11 Ibid., p. 310.
12 Ibid., p. 306.