“Un drammaturgo affronta così la questione di che cosa significhi per i ragazzi fare all’amore con le ragazze, sottolineando come essi non ci penserebbero affatto senza il risveglio dei loro sogni”
J.Lacan, Prefazione al ‘Risveglio di primavera’ di F. Weedeking
L’adolescenza è il periodo di maggiore insorgenza di un disturbo alimentare. Ogni adolescente si trova a dover arrangiarsi con un corpo pulsionale sconosciuto, con cambiamenti e nuove spinte libidiche. Le nuove questioni non trovano più risposta nelle offerte del mondo infantile e ogni ragazza e ragazzo si trova ad andare alla ricerca di modi diversi per farvi fronte. L’ adolescenza è come una nuova nascita in cui ciascuno è chiamato a trovare una sua composizione singolare tra il corpo pulsionale, segnato dalla sessualità, il mondo degli altri e ciò che di nuovo emerge riguardo alla propria persona.
Talvolta il sintomo diviene la soluzione per arrangiarsi con quell’inciampo che è l’adolescenza, e il disturbo alimentare porta i tratti di una duplice operazione, il tentativo di far fronte a quell’inciampo ma con un modo che cristallizza il tempo, lo sospende, che perde la traccia di quella creatività che è necessaria a un movimento di vita e di fondazione soggettiva. Il tempo del vivere il proprio desiderio è turbolento e destabilizzante, e viene perciò rimandato. Il reale del corpo puberale, della sessualità e ciò che di sé è sconosciuto e affiora, lacerano l’immagine su cui il bambino e la bambina si erano sostenuti nel mondo infantile e questo può provocare angoscia, perché è qualcosa di debordante e non simbolizzato, rispetto al quale si può non avere gli strumenti per fronteggiarlo.
È un periodo, quello adolescenziale, di conclusione, ricapitolazione e punto di partenza, che lascia smarriti di fronte all’enigma che emerge su di sé e sull’altro. In tal senso il rifiuto del cibo o l’alimentazione incontrollata e gli effetti sull’ immagine corporea che ne seguono possono delinearsi come il tentativo della persona di liberarsi da questo pulsionale enigmatico che eccede, che straborda, che è insopportabile e non padroneggiabile e che il soggetto tenta di eliminare o di coprire con attacchi al corpo per mezzo del cibo.
Si tratta di un’impasse rispetto al piacere che il soggetto può provare anche con il suo corpo attraverso un legame con il proprio desiderio e il desiderio dell’altro.
Nel disturbo alimentare il soggetto cerca di far fuori questa possibilità, chiudendosi in una forma di godimento mortifero privato che rompe la condivisione con l’altro, erige una barriera devitalizzata che non consente lo scambio simbolico e che dunque blocca anche il proseguo del lavorìo per il diritto alla propria soggettività. Tale diritto infatti prende consistenza nel campo con l’altro ma solo attraverso il dare voce alla propria intima e singolare esistenza, e nei soggetti con disturbi alimentari si tratta di una voce che si è ammutolita, che ha preso le vie di un messaggio risolutivo, che si è incarnata in un punto fermo. Il tempo del vivere il proprio desiderio è turbolento e destabilizzante, ed è per questo rimandato, il soggetto cerca di appiattire e vanificare il corpo pulsionale, erogeno su un’immagine che si sgancia da una possibile scena di incontro con l’altro e tenta di ripristinare qualcosa dell’illusoria compattezza infantile.
L’insorgenza del sintomo alimentare riguarda il rapporto del soggetto con la dimensione reale del corpo, della sessualità e del desiderio nel legame con l’altro ed è necessario pensare che la congiuntura di questi versanti accade in un tempo logico, cioè in una scansione soggettiva in cui emerge una nuova questione con la quale il soggetto si trova ad avere a che fare. Quando queste questioni non trovano canali per prendere forma in modo sostenibile, possono rimanere nell’espressione dolorosa di un sintomo, di una stagnazione che può far diventare il tempo dello snodo adolescenziale da ponte a residenza permanente.
Una residenza contraddistinta dalla difficoltà per il soggetto a stabilire un limite vivibile, limite che si costituisce sulla differenziazione e che grazie a questo consente il dialogo tra i diversi territori della soggettività, piuttosto invece si incontra l’imperare di una legge feroce della chiusura o della sua trasgressione e abolizione cieca, come possiamo constatare essere predominante nelle varie forme di disturbi alimentari. Questi elementi ci rendono conto di quanto sia importante cogliere e ascoltare quel crocevia di sofferenza che porta allo “sviluppo” di un disturbo alimentare, che se posto dal soggetto come soluzione a ciò che lo scavalca e lo pervade rischia di divenire un territorio di prigionia a tempo indefinito, almeno fino alla uscita dalle sbarre di una domanda di aiuto, di cura.
Si tratta di prestare ascolto a quei segni di disagio nel corpo e nell’anima che ciascuno, nei modi più disparati e singolari, mette sulla scena della propria esistenza.